Con la decisione del 17 dicembre 2018, la Commissione Europea, che aveva avviato il procedimento nei confronti delle società del Gruppo Guess sulla base dei risultati dell’indagine settoriale sul commercio elettronico (avviata nel maggio 2015), ha condannato tali società al pagamento di una sanzione pecuniaria di quasi quaranta milioni di Euro a causa della violazione, da parte delle stesse società, delle disposizioni in materia di restrizioni verticali e di divieto di blocchi geografici.

Secondo la Commissione Europea, Guess, attraverso i contratti conclusi con i vari distributori e retailer operanti nei vari Stati Membri, aveva realizzato, su tutto il territorio dell’Unione Europea, un sistema di distribuzione selettiva (ovvero un “sistema di distribuzione nel quale il fornitore si impegna a vendere i beni o servizi oggetto del contratto, direttamente o indirettamente, solo a distributori selezionati sulla base di criteri specificati e nel quale questi distributori si impegnano a non vendere tali beni o servizi a rivenditori non autorizzati nel territorio che il fornitore ha riservato a tale sistema” – Reg. UE 330/2010, art. 1), imponendo, sia ai distributori, sia ai retailer, stringenti limitazioni alle vendite al di fuori dei territori rigidamente loro assegnati, nonché  alle vendite e alle attività di promozione on-line che le società del gruppo Guess svolgevano in via quasi esclusiva, comprimendo – secondo la Commissione Europea in modo contrario alle disposizioni europee applicabili – la concorrenza c.d. intra-brand, anche a discapito dei consumatori.

La Commissione Europea, in esito ad un approfondito scrutinio delle clausole dei singoli contratti conclusi fra Guess e i suoi distributori e rivenditori, ha ritenuto che la casa di moda californiana avesse violato le norme del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (e del Regolamento UE n. 330/2010) in punto di divieti di restrizioni verticali.

Difatti la Commissione Europea, aderendo all’orientamento della Corte di Giustizia Europea (Sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea del 6 dicembre 2017; orientamento recepito anche dai tribunali italiani – ordinanza del Tribunale di Milano del 16 novembre 2018 e ordinanza del Tribunale di Milano del 17 dicembre 2018), ha ribadito che i sistemi di distribuzione selettiva sono pienamente legittimi, purché non si risolvano in imposizioni arbitrarie e/o discriminatorie e, in ogni caso, non necessitate al fine di mantenere un particolare livello qualitativo del sistema.

Le restrizioni imposte da Guess ai propri distributori e retailer e finite sotto la lente d’ingrandimento della Commissione Europea riguardavano principalmente:

restrizione delle vendite on-line: Guess consentiva ai suoi retailer di vendere attraverso e-commerce, solo dopo aver ottenuto, da parte della stessa Guess, un’autorizzazione che, tuttavia, non era legata a nessun requisito e/o controllo degli aspetti qualitativi del sito Internet del rivenditore, bensì alla sola discrezionalità di Guess. Inoltre, la Commissione ha rinvenuto, in alcuni modelli contrattuali di Guess, espressi divieti di svolgere attività di vendita al di fuori dei punti vendita fisici.
Secondo la Commissione Europea, che pure ha riconosciuto la possibilità, nell’ambito dei sistemi di distribuzione selettiva, di limitare le vendite on-line, le restrizioni imposte da Guess miravano, in modo arbitrario e discriminatorio, ad escludere i rivenditori dal canale on-line, così che fossero le sole società del gruppo Guess a poter vendere on-line, in via pressoché esclusiva. Tale restrizione, ad avviso della Commissione avrebbe provocato un azzeramento della competitività “intra-brand”, danneggiando anche i consumatori finali. A titolo esemplificativo, un rivenditore al dettaglio di Guess, sito in Francia, avrebbe potuto mettere in vendita sul proprio sito e-commerce i capi di abbigliamento Guess solo dopo aver ottenuto un’autorizzazione da parte di Guess Europe, la quale poteva tuttavia rifiutarsi di concedere tale autorizzazione, senza alcuna motivazione specifica;

pubblicità on-line: Guess vietava ai propri distributori e retailer di utilizzare, per il servizio Adwords di Google, il nome e i marchi Guess. Tale limitazione, che secondo la Commissione Europea può essere a certe condizioni ritenuta lecita, nel caso di specie è stata ritenuta illecita, poiché si risolveva in un indebito vantaggio competitivo in favore di Guess a danno dei propri retailer, specie nel canale e-commerce, nel quale Guess operava in via quasi esclusiva, in ragione delle limitazioni alle vendite on-line imposte da Guess;

vendite incrociate (c.d. “cross-sales”) fra i distributori e i rivenditori: Guess imponeva ai distributori quantitativi minimi di articoli da acquistare direttamente dalle società del gruppo Guess e, contestualmente vietava, ai distributori e ai rivenditori al dettaglio di vendere ad altri distributori e rivenditori al dettaglio al di fuori delle aree territoriali assegnate da Guess ai singoli distributori e retailer. In altre parole, i distributori e i rivenditori potevano acquistare gli articoli Guess solo dalle società del gruppo e non anche da altre imprese, parti del sistema di distribuzione selettiva, rimanendo così “relegate”, sia per le vendite, sia per gli acquisti a limitate aree territoriali all’interno degli Stati Membri. Così, ad esempio, non era possibile, per un distributore francese di Guess, acquistare capi d’abbigliamento da un distributore italiano di Guess e viceversa;

vendite al dettaglio al di fuori dei confini nazionali: Guess, oltre a vietare le vendite incrociate fra i membri della propria rete di distribuzione selettiva, consentiva ai rivenditori al dettaglio di vendere i prodotti Guess solo all’interno dell’area territoriale assegnata, limitando il diritto di uso dei marchi Guess da parte dei rivenditori solo all’interno dei negozi e nell’area territoriale assegnata al negozio. Tale restrizione, di fatto, impediva ai rivenditori di svolgere qualsivoglia attività, anche solo promozionale, al di fuori dell’area territoriale assegnata;

imposizione dei prezzi di vendita: Guess imponeva ai membri della rete di distribuzione selettiva di conformarsi alle indicazioni ed ai listini prezzi forniti da parte della casa di moda.

L’osservanza delle clausole sopra indicate, ritenute illecite dalla Commissione Europea, era presidiata da penali e/o da clausole risolutive, previste nei contratti conclusi da Guess con i suoi distributori e rivenditori.

La decisione relativa al caso Guess ha consentito alla Commissione Europea di fare il punto in merito alle c.d. “restrizioni fondamentali” relative al divieto di vendite on-line e al divieto di vendite al di fuori del territorio assegnato (anche fra imprese appartenenti al medesimo sistema di distribuzione selettiva).
In particolare, la Commissione Europea ha ribadito che le predette restrizioni – soprattutto quelle relative alle vendite on-line – rappresentano un’ipotesi illecita di limitazione alle vendite passive (ovvero quelle vendite che non sono il risultato dell’attività di promozione e di sollecitazione da parte del rivenditore, ma di richieste di acquisto proveniente da parte di consumatori) e, come tali, debbono essere espressamente vietate in virtù dell’art. 101 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea e del Regolamento UE n. 330/2010 (in particolare, artt. 1, 2 e 4).

La decisione della Commissione Europea, che è peraltro giunta pochi giorni dopo l’entrata in vigore del Regolamento UE sul divieto di geo-blocking (nei rapporti fra imprese, c.d. “professionisti” e consumatori), ha fornito importanti indicazioni sull’interpretazione delle clausole dei contratti che sovrintendono i sistemi di distribuzione selettiva. Tali indicazioni potranno essere senz’altro utili per riconoscere, nell’ambito dei rapporti fra imprese e consumatori, clausole che introducano – direttamente o indirettamente – blocchi geografici, le quali, come previsto dal Regolamento UE sul divieto di geo-blocking, sono da considerarsi nulle, qualora si traducano in una discriminatoria limitazione all’accesso a beni e servizi ai consumatori europei.