La Corte di Giustizia dell’Unione Europea, con la sentenza nella causa C-172/18 (AMS) del 5 settembre 2019, torna a pronunciarsi su questioni di giurisdizione in materia di azioni volte a inibire attività di contraffazione di marchi europei, perpetrate attraverso il canale Internet e mezzi di comunicazione elettronici.

Nel caso di specie, la questione sottoposta allo scrutinio dei giudici europei ha riguardato la possibilità, per le società ricorrenti AMS NEVE, BE TRUSTEES tutte stabilite nel territorio del Regno Unito (così come il Sig. Crabtree, amministratore delegato di AMS NEVE) di adire i giudici britannici allo scopo di ottenere tutela del proprio marchio europeo “AMS Neve”, registrato e utilizzato per apparecchiature per la riproduzione e il missaggio del suono, nei confronti della società spagnola HERITAGE AUDIO (nonché nei confronti dell’amministratore di tale società, sig. Pedro Rodriguez Arribas, anch’egli domiciliato in Spagna) che aveva pubblicizzato e offerto in vendita, anche sul territorio del Regno Unito, tramite mezzi elettronici (e, più in particolare, siti di e-commerce e comunicazioni e-mail) prodotti identici a quelli prodotti e commercializzati dalle ricorrenti, utilizzando un marchio identico a quello di titolarità delle ricorrenti.

Secondo i giudici britannici dell’Intellectual Property and Enterprise Court originariamente aditi dalle società ricorrenti, il giudizio avrebbe dovuto essere instaurato davanti ai giudici spagnoli e non davanti ai giudici inglesi, dal momento che:

– applicando, quale primo criterio per la determinazione della giurisdizione, il criterio del foro del convenuto, i.e. del luogo in cui Heritage Audio aveva il proprio domicilio, criterio previsto dall’art. 97, primo paragrafo del Regolamento UE n. 207/2009 (adesso art. 125, primo paragrafo del Regolamento UE n. 1001/2017), la causa avrebbe dovuto essere instaurata in Spagna;

– applicando il criterio del luogo in cui l’atto di contraffazione è stato commesso o minacciato, previsto dall’art. 97, quinto paragrafo del Regolamento UE. n. 207/2009 (adesso art. 125, quinto paragrafo del Regolamento UE n. 1001/2017) avrebbe dovuto tenersi in considerazione il luogo in cui l’asserito contraffattore, i.e. la società spagnola Heritage Audio avrebbe preso la decisione e dunque realizzato i mezzi (elettronici) con i quali sarebbe poi stata realizzata la condotta illecita in violazione dei marchi delle ricorrenti. Pertanto, anche applicando tale criterio la causa avrebbe dovuto essere instaurata dinanzi all’autorità giudiziaria spagnola.

L’Intellectual Property and Enterprise Court ha pertanto dichiarato la propria carenza di giurisdizione. La questione è stata oggetto di appello da parte delle società britanniche cha hanno visto rigettare le proprie domande per carenza di giurisdizione e, successivamente sottoposta alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea da parte la Court of appeal of England&Wales.

La Corte di Giustizia dell’Unione Europea, con la sentenza che si commenta, non ha aderito alla ricostruzione dei giudici inglesi e, al contrario, ha riconosciuto la giurisdizione della Intellectual Property and Enterprise Court ai sensi dell’art. dall’art. 97, quinto paragrafo del Regolamento UE n. 207/2009.

Difatti, secondo la Corte di Giustizia UE per “atto di contraffazione” deve intendersi qualsiasi atto che abbia ad oggetto la pubblicizzazione o l’offerta in vendita di prodotti recanti il marchio in violazione dei diritti del titolare del marchio che si assume contraffatto. Tali atti devono essere considerati come commessi sul territorio in cui essi hanno acquisito il loro “carattere pubblicitario e di offerta in vendita”, ossia sul territorio in cui professionisti e consumatori hanno potuto avere accesso all’offerta commerciale avente ad oggetto i prodotti recanti il marchio contraffatto.

In altre parole, al fine di verificare se un atto di contraffazione sia stato commesso su un determinato territorio, occorre comprendere se il prodotto con il marchio contraffatto sia effettivamente accessibile al pubblico di riferimento, a prescindere dal fatto che si perfezioni o meno l’acquisto del prodotto da parte dei consumatori e/o professionisti di riferimento.

Secondo la Corte di Giustizia UE sostenere il contrario e ritenere che gli atti di contraffazione rilevanti consistono esclusivamente in quelle condotte compiute dal contraffattore nella fase di ideazione e preparazione delle misure di offerta in vendita e pubblicità aventi ad oggetto il prodotto recante il marchio contraffatto – attività che di fatto avvengono nella quasi totalità dei casi dove il contraffattore ha la propria sede o il proprio stabilimento – equivarrebbe a sovrapporre il criterio di cui all’art. 97, primo paragrafo al criterio di cui all’art. 97, quinto paragrafo del Regolamento n. 209/2007, sottraendo così al titolare di un marchio europeo l’alternativa sul giudice da adire e conseguentemente, svuotando di significato la stessa disposizione dell’art. 97, quinto paragrafo del Regolamento n. 209/2007.

A tal riguardo, la Corte di Giustizia UE ha precisato che la scelta del giudice da adire in base ai criteri alternativi stabiliti dall’art. 97 Regolamento UE n. 207/2009 (ora art. 125 Regolamento UE n. 1001/2017) non è priva di conseguenze concrete dal momento che, da un lato, il provvedimento pronunciato da un giudice adito quale giudice del foro del convenuto ha efficacia transfrontaliera, i.e. è efficace sul territorio di tutti gli Stati membri UE; dall’altro lato, il provvedimento pronunciato dal giudice adito in base al criterio del luogo in cui l’atto di contraffazione è stato commesso o minacciato ha efficacia solo sul territorio di quello Stato membro e, pertanto la portata del provvedimento è senz’altro più limitata.

Nel caso di specie, la società spagnola Heritage Audio aveva espressamente indicato, all’interno delle condizioni di vendita del proprio sito Internet, di effettuare consegne nel Regno Unito e, inoltre, sempre all’interno del sito Internet, indicava i rivenditori e distributori dei propri prodotti aventi sede ed operanti sul territorio britannico.

Sulla base di tali evidenze prodotte dalle società ricorrenti già nel contesto dei procedimenti giudiziari instaurati nel Regno Unito, i giudici europei hanno concluso che, almeno nel caso sottoposto al loro giudizio, si era realizzata concretamente un’attività pubblicitaria e di offerta in vendita di prodotti recenti il marchio contraffatto rivolta ai consumatori britannici. Pertanto, è stata riconosciuta la giurisdizione dell’Intellectual Property and Enterprise Court sulla base del criterio di cui all’art. 97, quinto paragrafo Reg. UE n. 207/2009.

La pronuncia della Corte di Giustizia UE offre dunque importanti chiarimenti non solo sulla corretta interpretazione delle norme che introducono i criteri in base ai quali determinare la giurisdizione di un Tribunale marchi dell’Unione Europea, ma chiarisce anche quali sono le attività che possono consistere in un’offerta di prodotti (o servizi) recanti un marchio contraffatto (indicazione all’interno del sito Internet della disponibilità della consegna ai consumatori che si trovano su di un territorio, indicazione, sempre all’interno di un sito Internet, di distributori e rivenditori operanti su di un territorio). In tal senso, la recente pronuncia aggiunge – senza tuttavia contraddire – quanto già affermato dalla precedente giurisprudenza europea, in particolare con la sentenza nella causa C‑324/09 (L’Oréal) del 12 luglio 2011, richiamata dalla sentenza in commento, che si era soffermata su profili parzialmente diversi e, in particolare, sul fatto che la presenza di un prodotto recante un marchio contraffatto all’interno di marketplace e di piattaforme di vendita online (quale, per l’appunto, Ebay) rappresentasse o meno una forma di offerta in vendita. Nella precedente occasione, la Corte di Giustizia UE aveva affermato, difatti, che la mera accessibilità di un sito Internet per i consumatori che si trovano sul territorio di uno Stato membro non equivale ad una concreta offerta in vendita del prodotto recante un marchio asseritamente contraffatto.

Alla luce dei recentissimi sviluppi, pare pertanto potersi concludere che è possibile convenire il contraffattore di un proprio marchio europeo in uno qualsiasi degli Stati Membri purché il contraffattore abbia pubblicizzato e offerto in vendita – magari a mezzo Internet – i prodotti in contraffazione anche (e direttamente) in tale Stato – ricordando che un eventuale provvedimento di inibitoria potrà, in tal caso, avere effetti solo limitatamente a questo territorio e non a livello europeo.